Marzia Grimaldi, Focal Point della campagna “Nuclear Experience” della Croce Rossa Italiana, intervista Venessa Yasmin Hanson, Social Media Officer per l’International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN).

Vanessa, come esponente di una delle organizzazioni della società civile che ha maggiormente contribuito all’adozione del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Treaty on the prohibition of nuclear weapons – TPNW) – traguardo chiave del percorso verso il disarmo nucleare – ci racconti più in dettaglio qual è il ruolo che ha svolto e continua a svolgere ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons) in questo ambito?

ICAN è una coalizione di organizzazioni non governative, che ha per l’appunto come scopo principale di promuovere il disarmo nucleare. Una gran parte del lavoro che facciamo è quindi volto a promuovere l’adesione e l’attuazione del TPNW. Questo Trattato rappresenta un accordo storico, adottato alle Nazioni Unite il 7 luglio 2017 ed entrato poi in vigore a gennaio 2021. Il nostro approccio alla promozione del disarmo nucleare è ispirato al successo della campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo (International Campaign to Ban Landmines – ICBL), sia per il modo in cui hanno guidato la società civile nel lavoro di advocacy che per i risultati tangibili raggiunti, con l’adozione del Trattato sulla messa al bando delle mine antipersona nel 1997.

ICAN, in particolare, è stato fondamentale nell’organizzazione di conferenze internazionali tra il 2013 e il 2014 che hanno portato ancora di più alla luce il tema delle conseguenze umanitarie catastrofiche di qualsiasi detonazione nucleare. Questi incontri hanno portato alla creazione di un impegno umanitario sottoscritto da 127 Paesi e, successivamente, alle negoziazioni del TPNW.

Ora come ora il nostro ruolo si concentra sull’incoraggiare gli Stati che non lo hanno ancora fatto a firmare e ratificare il Trattato, garantendone così una piena attuazione. Parallelamente, portiamo avanti anche un grande lavoro di sensibilizzazione dell’opinione pubblica tramite campagne educative, eventi internazionali con le importanti testimonianze degli Hibakusha – ossia i sopravvissuti alle esplosioni atomiche di Hiroshima e Nagasaki – ma anche i sopravvissuti ai test nucleari nel Pacifico, New Mexico e in Africa”.

Qual è stato il focus delle vostre attività di advocacy e sensibilizzazione e che importanza ricopre la comunicazione pubblica tramite i canali social?

Il focus del nostro lavoro di sensibilizzazione si concentra nel mettere al centro del dibattito le conseguenze umanitarie dell’uso delle armi nucleari. Quindi abbiamo lavorato per evidenziare come queste armi rappresentino una minaccia non solo strategica, ma soprattutto umanitaria ed ecologica e di come possano provocare conseguenze e devastazioni indicibili. Attraverso le testimonianze degli Hibakusha e dei sopravvissuti ai test nucleari vediamo il volto reale di questa minaccia, sappiamo quali sono gli effetti di queste armi sia sulle vite umane che sull’ambiente: nel Pacifico, ad esempio, oppure in Algeria, dove a seguito dei test nucleari svolti dalla Francia negli anni ‘60 in determinati siti, le persone che vivevano in zone limitrofe hanno riscontrato lo sviluppo di malattie e patologie da essi causati.

Parte di questo lavoro di sensibilizzazione è svolto in collaborazione con i Governi, con il Movimento Internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (Movimento Internazionale) e con altre organizzazioni della società civile ed accademici, con l’obiettivo di promuovere questa narrativa che umanizza la questione del disarmo nucleare. L’approccio di ICAN è quindi quello di cercare di dare volti, voci e storie al disarmo nucleare, cercando di non limitarlo a numeri, statistiche e tecnicismi, che lo fanno sembrare un tema molto distante. Spesso infatti le armi nucleari vengono considerate come un tema per i soli “addetti ai lavori”: quello che cerchiamo di fare con ICAN, invece, è mostrare alle persone comuni che anche se si è membri di un Governo, funzionari ONU, ecc. si può comunque fare la differenza e mobilitarsi in modo efficace per un futuro libero da armi nucleari.

Per quanto riguarda l’utilizzo dei canali social, sono sicuramente tra gli strumenti più potenti che abbiamo. A meno che non succeda qualche evento tragico nel mondo legato alla minaccia o al rischio di impiego di armi nucleari, i media tradizionali tendono a non coprire molto il tema e a non parlare proprio di disarmo nucleare. I social media ci aiutano invece a colmare questo vuoto, permettendoci di arrivare alle persone attraverso campagne educative – quali ad esempio ICAN Cities AppealICAN Parliamentary Pledge, ICAN Schools of Mass Destructionrendendo più accessibili anche i contenuti più complessi e condividendo strumenti per poter agire concretamente”.

Quindi i social possono contribuire a creare un senso di comunità anche in tema di disarmo nucleare?

Esatto, una comunità che va oltre i confini geografici, tenuta viva proprio da questo tipo di connessione”.

Il CICR e, più in generale l’intero Movimento Internazionale, nelle sue attività di advocacy e sensibilizzazione in tema di disarmo nucleare, ha seguito la strategia di spostare l’attenzione del dibattito internazionale dalle considerazioni politiche e di sicurezza degli Stati alle conseguenze umanitarie devastanti derivanti dall’uso di armi nucleari. E’ stato lo stesso approccio seguito anche da ICAN?

“Sì, ICAN condivide pienamente questo approccio. L’attenzione alle conseguenze umanitarie è stata il fondamento delle nostre campagne, il cuore del nostro messaggio, che poi ha guidato le negoziazioni del TPNW fino alla sua adozione e successiva entrata in vigore. Lavorando poi come coordinatori della società civile durante le principali conferenze umanitarie svoltesi sul tema, in collaborazione con il Movimento Internazionale, abbiamo contribuito a far emergere sempre di più la devastazione concreta e irreparabile derivante da qualsiasi uso di armi nucleari e, di conseguenza, a spostare gradualmente quella che è la narrativa globale, umanizzando la causa del disarmo nucleare”.

E’ corretto dire che al giorno d’oggi è come se esistessero due concetti diversi di sicurezza in tema di armi nucleari?  Uno è relativo alla sicurezza degli Stati e alle loro considerazioni geopolitiche, e l’altro invece relativo alla sicurezza delle persone, che porta all’’umanizzazione di questi temi.

“Si, esattamente, e gran parte del lavoro che abbiamo svolto, con i nostri partner e organizzazioni internazionali come l’ONU, è stato proprio incentrato sul tentare di spostare il focus da un concetto all’altro, ossia dalla sicurezza degli Stati alla sicurezza umanitaria. Quest’ultima si lega ovviamente ai rischi rappresentati dall’esistenza delle armi nucleari e alle conseguenze devastanti di qualsiasi loro eventuale impiego, non solo per le generazioni presenti ma anche per quelle future. Si tratta quindi di dimostrare che questa minaccia non è distante da noi, bensì molto molto vicina”.

A che punto è ora il percorso verso il disarmo nucleare totale? Quali sono stati gli ultimi obiettivi raggiunti e quali sono invece le tappe che abbiamo ancora davanti?

“Con il TPNW abbiamo raggiunto una svolta davvero importante, dimostrando che il disarmo nucleare non è solo un concetto astratto, un miraggio, ma un obiettivo concreto, che è possibile perseguire. Inoltre, bisogna sottolineare che nonostante il TPNW non sia ancora stato firmato dagli Stati che possiedono armi nucleari, dalle potenze nucleari, il disarmo nucleare continua a crescere. Questo Trattato rappresenta quindi comunque uno strumento fondamentale per poter agire e continuare a fare pressione sui Governi degli Stati detentori di armi nucleari, affinché si impegnino concretamente per un mondo libero da queste ultime”.

Perché, anche dopo l’entrata in vigore del TPNW, il disarmo nucleare totale incontra ancora molte resistenze? A differenza di ciò che si è verificato con altre armi di distruzione di massa, che hanno avuto invece un percorso più lineare.

“Le armi nucleari sono spesso considerate un simbolo di potenza a livello geopolitico, quindi molti Stati credono che possedere o ospitare queste armi sul proprio territorio possa comunque garantire sicurezza e deterrenza. Il nostro lavoro consiste nell’impegnarci asmantellare queste narrative e dimostrare che le armi nucleari rappresentano in realtà una minaccia per la sicurezza globale. Come dimostrato da diverse ricerche, infatti, nessun Paese ha le capacità per affrontare le conseguenze umanitarie e ambientali derivanti dall’uso di queste armi. Quindi, come dicevamo, attraverso varie campagne di sensibilizzazione pubblica, sforzi di pressione diplomatica, ecc, il nostro obiettivo è ridefinire la sicurezza come disarmo nucleare”.

Cosa diresti a chi ha perso la fiducia nel perseguire l’ideale di un mondo libero dalle armi atomiche? Cosa ti motiva, e cosa motiva ICAN in generale, ad andare avanti nei momenti di difficoltà o di stallo?

“Direi che purtroppo la questione delle armi nucleari ci riguarda tutti e da vicino. La storia ci insegna che i cambiamenti più grandi e necessari, spesso sembrano impossibili prima di diventare realtà. Le negoziazioni per il TPNW, la sua adozione e successiva entrata in vigore, nonché il progressivo aumento degli Stati Parte, ci mostrano come la perseveranza e l’azione collettiva porti a risultati straordinari e incredibili. Talvolta questo lavoro può essere demoralizzante, ad esempio quando sentiamo di Stati che minacciano di impiegare armi nucleari nei conflitti attuali e delle relative corse al riarmo: in questi momenti, mi ispiro a storie come quelle degli Hibakusha e alle storie degli altri sopravvissuti. Lo abbiamo visto anche quest’anno con il nobel all’organizzazione Nihon Hidankyō: senza le preziose storie di questi testimoni, senza i loro volti, il TPNW non sarebbe realtà o non sarebbe un Trattato così forte come lo è oggi. Nei momenti di difficoltà mi ispiro quindi alla determinazione di queste persone che, nonostante tutto, continuano a lottare per un mondo più giusto e dicono “noi vogliamo essere l’ultima generazione di Hibakusha, niente più Hiroshima e Nagasaki, niente più test nucleari”. Sono altrettanto d’ispirazione, inoltre, le storie delle seconde e terze generazioni, che non sono diretti superstiti di esplosioni atomiche ma figli o nipoti di superstiti di queste tragedie, che hanno comunque vissuto le terribili conseguenze derivanti dalle detonazioni nucleari. Ad esempio, molti di loro mi hanno raccontato che devono comunque essere sottoposti spesso a screening per il cancro, come conseguenza delle radiazioni che hanno respirato. Nonostante tutto questo, restano determinati a combattere per un mondo più sicuro per tutti noi”.

Questo impegno per le generazioni future è davvero ammirevole. C’è altro che vorresti aggiungere?

“Vorrei sottolineare l’importanza di ascoltare le giovani generazioni, quindi non solo i sopravvissuti e le loro fondamentali testimonianze, ma prendere in considerazione anche le voci delle giovani generazioni che stanno lavorando per la causa del disarmo nucleare. Troppo spesso infatti i giovani vengono considerati come parte della causa più in qualità di rappresentanti di categoria che per le loro idee: bisogna invece ascoltarli e dar loro il giusto spazio. In primis, perché conoscono la causa, anche in prima persona: penso in particolare ai giovani che provengono dal Pacifico, dal Giappone o dal Kazakhstan. Aigerim Seitenova, dal Kazakhstan, ad esempio, sta facendo un lavoro incredibile con l’ONU. Inoltre, possono avere prospettive e approcci innovativi su come portare avanti la causa del disarmo nucleare nella realtà attuale, ad esempio ponendo un’attenzione particolare sulla questione dell’intersezionalità. Il disarmo nucleare infatti non è un tema a sé stante; al contrario, è strettamente connesso anche al cambiamento climatico e alla parità di genere. Questo è sicuramente un concetto di cui le giovani generazioni possono farsi promotrici”.

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